La gioventù che partecipa-Oderzo

17 febbraio 2008

Norme e metodo


Il principio “tractent fabrilia fabri” è un principio banale che non esclude che chiunque possa dire il suo pensiero, esprimere il suo parere, ma che prevede che i primi ad essere interpellati nella risoluzione di un problema siano coloro che sanno come affrontare questo problema, cioè coloro che sono definiti gli esperti del settore in questione.
Facevamo l’esempio del meccanico in relazione ad un guasto della macchina, del medico in relazione ad una malattia da curare.
Tutto questo vale anche per il diritto, senza che ciò comporti un crollo della democrazia, tutt’altro!
Una cosa è il contenuto, l’intenzione di una norma e il potere di decisione finale circa una legge, tutte cose che spettano al parlamento. Altra cosa sono consigli tecnici di formulazione e proposte di legge che spettano (anche) ai giuristi. Ed proprio su questo punto che insiste la mia proposta.
Sull’argomento vi riporto le conclusioni di una tesi di laurea realizzata da una studentessa di giurisprudenza, Paola Donadel.
Il suo lavoro, dal titolo “atipicità e causa nel sistema contrattuale romano” (relatore Prof. Luigi Garofalo), si concentra sul concetto di contratto nel diritto romano ed affronta il tema secondo una prospettiva logico-storica, approfondendo il significato di “causa contrattuale”.
Proprio all’interno delle conclusioni, sono presenti le riflessioni che a noi interessano, nonché le motivazioni che hanno spinto Paola a realizzare una tesi in diritto romano, materia generalmente poco gradita agli studenti, ma che se studiata con un occhio di riguardo al presente e alle attuali problematiche legislative, sarà sempre di grande utilità.


CONCLUSIONI

Dalle fonti appena studiate emerge chiaramente come Ulpiano si occupi di approfondire il tema delle convenzioni, dei contratti tipici e atipici, che si erano ormai radicati nel sistema contrattuale romano.
Ciò soprattutto in ragione delle esigenze di tutela legate allo sviluppo dell’economia di Roma. Penso che uno dei meriti del giurista severiano sia quello di essere riuscito a completare la costruzione gaiana avvalendosi delle teoriche giurisprudenziali di autorevoli giuristi del passato, in particolare Pedio e Aristone (rimanendo invece implicita l’influenza di Labeone).
Ecco che così facendo Ulpiano dimostra la sua abilità nel raccogliere i pensieri di altri, facendo un discorso proprio.
È il giurista che consente di intravedere l’intreccio fra storia e sistema: un motivo che si rivela ormai come l’autentico tema dominante di tutto il nostro testo .[...]
La causa è scambio, e per capire ciò occorre comprendere lo spirito pratico, il modus operandi con cui i giuristi romani affrontavano i casi concreti.
Il giurista romano non fa elucubrazioni, la sua missione primaria è quella di risolvere problemi, perchè è diretto, breve, conciso, essenziale, pratico e pragmatico.
Vorrei concludere la mia tesi con una riflessione, che a dire il vero va oltre l’argomento approfondito in questa sede, grazie alla quale risulteranno ancora più chiare le motivazioni che mi hanno convinto a realizzare una tesi proprio in diritto romano.
Innanzitutto credo fortemente che se si vuole davvero conoscere, capire una cosa, è d’obbligo iniziare dallo studio delle basi.
Questa regola direi che ha una valenza generale, estendibile anche al campo del diritto.
Dallo studio dei frammenti antichi emerge chiaramente come le raffinatissime riflessioni, strutture ed elaborazioni giurisprudenziali, questo ragionare scientificamente sia stato portato avanti da giuristi che facevano del diritto il loro lavoro, i quali possedevano una preparazione e levatura intellettuale enorme.
L’insegnamento che a mio parere si raccoglie, cercando di guardare le cose dall’alto, è che il diritto è cosa per giuristi, non ci si può improvvisare esperti del diritto.
La formulazione delle disposizioni normative (e, attenzione, parlo proprio di “formulazione” e non di “contenuto”) deve essere affidata a persone che conoscono l’ordinamento legislativo, che conoscono il “sistema di norme” nel suo complesso e che sono dotati delle capacità tecnico-linguistiche che permettono di scrivere una legge in maniera chiara, semplice e terminologicamente corretta.
Se non si ragiona secondo questa via c’è il rischio di cadere in un abisso qualitativo nella formulazione delle norme, con tutte le conseguenze che ne discendono in termini di certezza del diritto, libertà e sicurezza.
A questo punto sorge spontanea una domanda: ha senso parlare di evoluzionismo giuridico? È cioè corretto pensare che il passare del tempo conduca ad un necessario progresso giuridico e che le norme vengano sempre e nel modo migliore incontro alle reali esigenze della società?
Personalmente, credo di no. È triste dover constatare il decadimento legislativo degli ultimi anni, ma va detto che ha raggiunto una evidenza lapalissiana. Con questo non voglio dire che il legislatore di oggi non sia animato da buoni e sani intenti. Il punto è però che non sa “tradurre” la buona volontà in buone norme. E vale la pena ricordare che una cosa è l’ ”idea” che sta alla base di una norma e un’altra è la “norma stessa”, perché solo quest’ultima, in definitiva, è legge e regola la società, per quanto l’ “idea” sia indubbiamente utile al fine di interpretarla.
Il modo in cui la volontà si deve esprimere deve essere scelto da chi conosce il diritto, da chi sa come scrivere la norma al fine di conformarla ad un sistema di diritto che c’è già.
Tornando a quanto argomentato nella mia tesi viene da chiedersi: che cosa insegna e lascia il percorso logico-storico che ho appena compiuto, o meglio, qual è l’eredità che i giuristi romani hanno lasciato alla società di oggi, e che può suscitare l’interesse dei giovani allo studio del diritto romano?
La risposta è semplice: il metodo.
Siamo, a mio parere, tributari di un ampio insegnamento di metodo. Tutto questo discutere, evolvere, correggere, cambiare, che si è riscontrato nel corso di queste pagine non è altro che il risultato del pensiero di giuristi che hanno fatto del diritto il loro lavoro, che sono da considerarsi veri e propri tecnici del diritto, i quali sentono come doverosa l’esigenza di riflettere per mesi su quale sia la soluzione migliore da adottare ai fini di risolvere il caso concreto e allo stesso tempo mantenere coerenza con il sistema di diritto esistente.
Utilizzando altre parole, si tratta di giuristi che sentono l’importanza e allo stesso tempo la responsabilità civile di una buona tecnica legislativa.
Esigenza ribadita dalla pandettestica tedesca e che soprattutto oggi, con la selva sterminata di norme confuse ed oscure che ci ritroviamo, scritte da persone che spesso stanno al di fuori della scientificità e sistematicità, ci insegna che il diritto è cosa per giuristi.
Dicendo questo non intendo legittimare una dittatura dei giuristi o creare una concezione di elitismo pedagogico, ma riconoscere semplicemente che c’è un metodo da seguire nella costruzione delle norme, il quale mira a salvaguardare la coerenza e logicità delle stesse.

Etichette:


 

Questa opera è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons.