La gioventù che partecipa-Oderzo

26 gennaio 2008

Olio che vai… Ossidazione che trovi!


Continuiamo il nostro percorso nei meandri dell’alimentazione, un mondo tanto vicino a noi quanto, almeno in genere, sconosciuto e per questo da scoprire.
L’ultima volta abbiamo parlato dell’acrilammide. Oggi toccheremo di nuovo l’argomento approfondendo, però, il tema degli “oli”.
Ad accompagnarci, come di consueto, Erika Poretto.


Gennaio 2008



Quello degli alimenti è un universo eterogeneo, pieno di sfaccettature e proprio per questo molto affascinante, e sono rimasta piacevolmente colpita dall’interesse che in molti hanno mostrato per esso.
Vorrei perciò continuare il percorso intrapreso la scorsa volta, in cui abbiamo parlato dell’acrilammide, fornendovi alcune informazioni sugli olii.
Recentemente, tra l’altro, è stato posto alla mia attenzione un vecchio articolo dell’A.R.C., Associazione per la Ricerca sul Cancro (vedi A. Nava, Grassi necessari. Quantità e qualità, Fondamentale notiziario dell’ACR, n. 30/1992, pp. 22-23), che contiene delle affermazioni che mi hanno lasciata un po’ perplessa non perché siano inesatte ma perché, secondo il mio parere, sono alquanto incomplete.
Concedetemi un po’ di tempo e vi dirò, in sintesi, quello che conosco, sperando di far luce sui vostri eventuali dubbi sull’argomento.

Partiamo dal principio: come ho affermato prima l’universo degli alimenti è vasto e difficile da comprendere e catalogare e questo vale anche per il mondo degli olii e dei grassi, ma per rendere semplice la cosa proverò a suddividere la categoria in base al profilo degli acidi grassi:
1. grassi costituiti in prevalenza da acidi grassi saturi (acido palmitico, acido stearico, acido butirrico, acido caprinico ecc…) caratterizzati da punti di fumo abbastanza elevati e un’alta resistenza all’ossidazione;
2. olii costituiti in prevalenza da acidi grassi monoinsaturi (acido oleico). Hanno punti di fumo elevati e una media resistenza all’ossidazione;
3. olii costituiti in prevalenza da acidi poliinsaturi (acido linoleico e acido linolenico) con i punti di fumo più elevati ma una bassissima resistenza all’ossidazione.

Concentrandosi sugli olii da frittura, essi dovrebbero essere scelti in base:
- alla loro capacità di resistere alle alte temperature o detta in modo scientifico, quelli dotati di un alto PUNTO DI FUMO (avete presente quando l’olio fa il fumo? Significa cha ha raggiunto la temperatura alla quale inizia ad evaporare ovvero la temperatura di fumo);
- alla loro stabilità all’ossidazione. L’ossidazione è un processo che si instaura in presenza di ossigeno ed è accelerato dalla luce e dal calore. Questa reazione interessa gli acidi grassi poliinsaturi in maniera prevalente, gli acidi monoinsaturi in maniera minore e non interessa per nulla gli acidi saturi. L’ossidazione porta alla formazione di radicali liberi tossici e cancerogeni.

Date queste caratteristiche sembrerebbe che i migliori olii da utilizzare per la frittura siano quelli con prevalenza di saturi e di monoinsaturi.

Della prima categoria fanno parte :
OLIO DI PALMA: simile al burro ma di origine vegetale. Contiene il 52% di grassi saturi ed è caratterizzato da un punto di fumo di 230°C.
MARGARINE HARD: derivano dall’idrogenazione di olii vegetali. Possono contenere fino ad un 80% di grassi saturi.
STRUTTO: grasso animale costituito per il 41% da acidi grassi saturi e per il 47% da acidi grassi moninsaturi. Ha un punto di fumo compreso tra 130-210°C.
Olio di palma e margarine sono usati, nella stragrande maggioranza, nei fast food e a livello industriale in quanto danno minor problemi di ossidazione quindi riescono a dare una maggiore standardizzazione del sistema produttivo e analitico dei prodotti.
A livello chimico fisico i grassi “saturi” sono perfetti per la frittura ma sotto l’aspetto biochimico ne è altamente sconsigliato l’utilizzo… per quale ragione?
È presto detto: dati epidemiologici indicano che l’abuso, non l’uso razionale, di grassi “saturi” aumenta vertiginosamente il rischio di contrarre malattie cardio-vascolari (colesterolo e pressione arteriosa alta, infarti, angine, arteriosclerosi).

Del terzo gruppo di olii fanno parte:
OLIO DI MAIS: punto di fumo di 236°C e una concentrazione in poliinsaturi pari al 62%
OLIO DI GIRASOLE: punto di fumo di 236°C e contenuto in poliinsaturi pari al 69%
Molto contenuto in poliinsaturi significa tanta ossidazione e tanti radicali, per questo sono olii totalmente inadatti alla frittura.

Della seconda categoria fanno parte (e qui mi ricollego all’articolo dell’A.R.C.):
OLIO DI OLIVA: ha punto di fumo di 190°C e una concentrazione in monoinsaturi del 73%
OLIO DI ARACHIDI: costituito per il 69% da monoinsaturi, 33% pa poliinsaturi e con punto di fumo di 231°C.
L’olio di oliva ha sicuramente dei pregi elevati quali:
o buon punto di fumo
o presenza di sostanze antiossidanti che bloccano i radicali che si formano durante l’ossidazione.
Perché l’olio di oliva sia un ottimo grasso da frittura bisogna evitare comunque l’insturarsi dell’ossidazione durante la conservazione:
o tenendolo in luogo fresco e asciutto
o conservandolo in bottiglie di vetro scuro (bloccano la luce)
o non lasciandolo in dispensa per più di 6/8 mesi.

Spero di avervi dimostrato che non esistono olii e grassi buoni e cattivi ma tante volte sta tutto nel nostro modo di agire e di consumare i cibi.

Per quanto riguarda le miscele commerciali tante volte non vengono esposte le formulazione per un discorso di segretezza e di copyright, in barba alle vigenti leggi sulla rintracciabilità.
Vi riporto un’etichetta di un olio “per frittura” che ho trovato in casa mia:
o olio di semi di girasole ad alto contenuto di linoleico
o olio di semi di girasole ad alto contenuto in oleico
o olio essenziale di coriandolo
l’olio di girasole ad alto oleico e linoleico è estratto da semi di piante selezionate (non sono OGM) appunto per modificare il profilo degli acidi grassi.
L’olio essenziale di coriandolo serve solamente per dare un certo profumo all’olio.
Le informazioni nutrizionali della miscela riportano:
o grassi saturi 9%
o grassi monoinsaturi 29%
o grassi poliinsaturi 54%
o punto di fumo di 190°C
o vitamina E pari al 600% della razione giornaliera raccomandata (RDA). La vitamina E ha capacità antiossidante e viene opportunamente aggiunta.
La confezione ha un rivestimento protettivo nei confronti dei raggi luminosi.

Mi è stato chiesto quale olio dà la garanzia di produrre meno acrilammide. Purtroppo devo rispondervi NESSUNO!!!
Mi spiego meglio, l’acrilammide durante la frittura si forma a causa delle alte temperature che si raggiungono e questo è un processo inevitabile.
La qualità dell’olio influisce solamente sulla quantità di radicali che si possono formare e come vi ho detto i radicali sono pericolosi e dannosi tanto quanto l’acrilammide.

Novità nell’ambito acrilammide? SI
o dei miei professori sono riusciti a mettere appunto un metodo che fa evaporare l’acrilammide dagli alimenti, è ancora in fase di sperimentazione ma già una nota multinazionale si è interessata al progetto;
o alcune aziende del settore delle patatine fritte hanno provato a “togliere” parte del glucosio dalle patate (il glucosio è uno dei reagenti della razione che porta alla formazione di acrilammide) utilizzando dei batteri lattici (quelli dello yogurt quindi innocui) che letteralmente si mangiano questo zucchero. Il risultato? Patatine biancastre, flosce, senza gusto… a voi la scelta!


Erika Poretto



BIBLIOGRAFIA:
• TOM P. COULTATE, La chimica degli alimenti, Zanichelli (2002)
• http://www.fao.org/docrep/V4700E/V4700E0b.htm#Chapter%206%20:%20Selected%20uses%20of%20fats%20and%20oils%20in%20food
• http://www.lunario.com/index.php?Mod=2&Doc=40&Lev=6
• http://en.wikipedia.org/wiki/Cooking_oil

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