La gioventù che partecipa-Oderzo

13 aprile 2007

Tractent fabrilia fabri-terza parte

continua dal 6/4/07

Arriviamo ora al reato di “violenza sessuale” (art. 609-bis).

Ancora una volta l’intento è buonissimo, ma realizzato male.
La norma dice che “chiunque, con violenza o minaccia o abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni”. A questa fattispecie seguono i casi di violenza sessuale con abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica e l’ipotesi, piuttosto boccaccesca a dire il vero, di sostituzione di persona con inganno.
Prendiamo comunque in considerazione la prima fattispecie.
Ad un primo sguardo sembra che tutto sia piuttosto chiaro e corretto. Ma appunto ad un primo sguardo. Perché se ci si pensa bene la norma non dice una cosa fondamentale, anzi la cosa che doveva dire prima di tutte le altre. Una cosa che la nostra mente dà per scontata. Ma attenzione: questo è diritto penale e vige un sacrosanto principio di legalità e di tassatività a tutela della libertà delle persone. È il comportamento descritto ad essere punito, non gli altri.
Ragioniamo: ciò che si deve vietare è una violazione della “libertà sessuale” che è un valore imprescindibile in una società civile. Il rispetto della libertà sessuale passa attraverso il consenso dalla persona. Nel caso invece ci sia un dissenso della persona questo può essere superato con il semplice “non rispetto” dello stesso. Tale mancato rispetto rappresenta una condotta più che sufficiente a ledere la libertà sessuale della persona. Se, poi, a tale mancato rispetto si aggiunge anche una condotta violenta o minacciosa allora la situazione non fa che diventare ancora più grave di quanto già non lo sia.
La norma in questione invece si concentra solo sui casi di violenza e minaccia e ci si dimentica perciò la cosa più ovvia. E cioè che la libertà sessuale è lesa per il semplice fatto che la persona è dissenziente. La violenza e la minaccia sono perciò delle aggravanti, non dei presupposti.
La norma dovrebbe essere quindi costruita in termini di “atti sessuali compiuti in presenza del dissenso della persona” e aggravati dalla violenza e dalla minaccia.
Non vi sembri poi strano che possa esserci una violenza sessuale senza resistenza da parte della persona offesa. Provate a pensare ad una povera donna assolutamente scioccata per quello che gli sta accadendo e incapace di reagire, magari in un fiume di lacrime. O ad una donna che assalita da un branco di stupratori rimane immobile e terrorizzata o che addirittura si trova costretta a sopportare tutto temendo mali ancora peggiori.
Stando così le cose, i giudici allora come dovrebbero comportarsi in questi casi? Le soluzioni sono due: o non puniscono perché il fatto non è previsto dalla legge; o puniscono in base ad una analogia in malam partem, passando sopra al principio di legalità.
La prima soluzione offende la coscienza comune perché non è accettabile che comportamenti così offensivi e indicibili rimangano senza punizione. La seconda soluzione invece abbatte un principio che è un monumento di civiltà a tutela della libertà delle persone.
E tutto questo perché? Perché non si sanno fare le leggi. Capite perciò l’importanza di una buona tecnica legislativa.
Ho voluto farvi questi esempi perché riguardano argomenti delicatissimi e anche molto tristi invero, così che sia chiara la portata del problema. Problema che non è affatto teorico, lontano o burocratico, ma assolutamente pratico e attuale.
Per risollevare un po’ l’umore ora vi faccio un altro esempio, sempre all’interno del codice penale, che è molto divertente (ma come sempre si ride per non piangere).

continua

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