A caccia di sfide
Come ho già avuto modo di dire, ho la grande fortuna di possedere un mio bosco di circa tremila alberi che si estende su una superficie di un ettaro e mezzo.
Lo abbiamo progettato e piantato la mia famiglia ed io, albero per albero; lo abbiamo curato con molta fatica; lo abbiamo difeso strenuamente (in mezzo ci volevano mettere dei bei pilastri in cemento e ferro e farci passare sopra dei cavi dell’alta tensione, giusto perché non sia mai detto che si possa fare qualcosa per l’ambiente impunemente! Sic!); e ora le piccole piantine che all’inizio si confondevano con l’erba, cosa per la quale ci presero scherzosamente per dei pazzi, sono dei robusti e splendidi alberi di una quindicina d’anni d’età.
Naturalmente, non c’è gioia vera che non sia gioia condivisa.
Così, questo bosco, nel quale sono presenti tutte le specie autoctone, è meta di scolaresche, di esperti e professionisti del settore, nonché di amici e conoscenti che vogliano prendere qualche piantina dal sottobosco per far crescere un albero nel loro giardino (di fatto, il sottobosco è un vivaio) o più semplicemente per fare una passeggiata lungo i sentieri che lo percorrono.
A tutela di questo angolo di verde è intervenuto, inoltre, un provvedimento della regione Veneto che ne ha fatto un fondo sottratto all’attività venatoria, un rifugio per la fauna (ci sono scoiattoli europei, ricci, lepri, fagiani, il picchio rosso, quello verde, per nominare i primi animali che mi vengono in mente e che vedo con più frequenza).
Ovvio, quindi, che sia una zona assolutamente interdetta alla caccia.
Eppure non c’è volta in cui, trovandomi a lavorare o camminare tranquillamente nel mio bosco, non incontri un cacciatore!
L’altro ieri, poi, sembrava di essere in una zona di guerra!
Come è naturale, tutti i cacciatori che ho sorpreso erano con fucile in mano e cane sciolto.
Fossero stati con fucile in spalla e cane al guinzaglio, nulla avrei potuto dire, se non che disapprovo la loro attività (che, peraltro, non saprei definire. Forse attività “sportiva”, come pure si dice? Ma si ammazzano gli animali per “sport”?...).
Ma solo pochi virtuosi hanno il buon gusto di attraversare il mio bosco con l’arma in spalla… e quanto ai cani, la possibilità che li tengano a guinzaglio rasenta l’impossibilità ontologica!
Ora, che sia contrario alla caccia l’ho già detto, in passato, e in termini chiari; come in maniera chiara, ho elencato i motivi per cui sono contrario (alcuni a tutti molto noti, altri meno: ad esempio, l’inquinamento da piombo).
A tutt’oggi è una pratica che non capisco; anzi, la capisco sempre meno.
E illogico, paradossale mi sembra il comportamento di quei cacciatori che prima sono rapiti dai paesaggi e dalle atmosfere che incontrano quando vanno a caccia, perché è impossibile non esserlo, e poi sparano; che è un po’ come rimanere a bocca aperta per lo stupore davanti ad un bellissimo quadro e il momento dopo prendere le forbici e farlo a pezzi.
Mi viene, poi, molta rabbia se penso all’impegno di creare una riserva naturale (e guardate che non è affatto facile! Ve ne parlo per esperienza diretta e, quindi, con perfetta cognizione di causa) e vedere la meraviglia che si è creata deturpata e resa insicura per chi la voglia vivere serenamente, nonché per me stesso.
Allora, i cacciatori quando cacciano fanno qualcosa che non mi vede assolutamente d’accordo, ma che, per ora, non è vietato; anzi è proprio la legge a regolamentare questa attività.
Ciò detto, il minimo che si possa pretendere da loro è, innanzitutto l’uso del buon senso, visto che si deve ammettere che si tratta di un’attività pericolosa, e perciò il rispetto delle persone, della loro vita e integrità fisica.
In secondo luogo, si deve pretendere il rispetto delle regole, delle leggi sulla caccia, cosa che passa attraverso la cultura del rispetto delle regole.
Perciò la sfida che lancio ai cacciatori, se proprio non possono smettere di cacciare, è quella di sapersi attenere alle regole. Non solo: è anche quella di impegnarsi perché tutti i loro colleghi le rispettino.
Poi non si può né negare né tacere che si tratta di una sfida particolarmente difficile visto che il nostro è un Paese in cui ci vogliono far dimenticare che pure la cultura del rispetto delle regole è un valore.
Cogliendo lo spunto per una riflessione più ampia, pensate ai condoni fiscali di cui già abbiamo parlato, all’indulto, al recente scudo fiscale, tutti “provvedimenti premiali”, come vengono definiti tecnicamente… ma premiali di cosa? Della miglior criminalità: questa è la risposta. Una volta i criminali andavano in galera; ora li si ricompensa lautamente.
Non ci si può nascondere alla constatazione che è in moto un circolo vizioso, da anni, per cui cresce la persuasione che delinquere, o comunque non rispettare le regole, paga.
La dissuasione dal tenere un comportamento vietato sta passando dal mondo reale al mondo degli ideali.
E l’idealista la manterrà sempre come valore morale, anche se non dovesse esistere più come regola (non venga mai quel giorno!); lo stesso idealista che in un mondo che non è affatto, e neanche prova ad esserlo, il migliore dei mondi possibili, finisce per fare, spesso e volentieri, la figura del povero allocco.
Ma se, come dicono, il mondo è dei furbi, il progresso, quello vero, lo hanno sempre portato gli idealisti, che non sono degli illusi o degli storicisti, ma persone con una grande riserva di buona volontà.
Io partecipo
Alessandro Marchetti
P.s. Vi invito a leggere anche questo articolo della cantante Mina e a riflettere.
Come ho già avuto modo di dire, ho la grande fortuna di possedere un mio bosco di circa tremila alberi che si estende su una superficie di un ettaro e mezzo.
Lo abbiamo progettato e piantato la mia famiglia ed io, albero per albero; lo abbiamo curato con molta fatica; lo abbiamo difeso strenuamente (in mezzo ci volevano mettere dei bei pilastri in cemento e ferro e farci passare sopra dei cavi dell’alta tensione, giusto perché non sia mai detto che si possa fare qualcosa per l’ambiente impunemente! Sic!); e ora le piccole piantine che all’inizio si confondevano con l’erba, cosa per la quale ci presero scherzosamente per dei pazzi, sono dei robusti e splendidi alberi di una quindicina d’anni d’età.
Naturalmente, non c’è gioia vera che non sia gioia condivisa.
Così, questo bosco, nel quale sono presenti tutte le specie autoctone, è meta di scolaresche, di esperti e professionisti del settore, nonché di amici e conoscenti che vogliano prendere qualche piantina dal sottobosco per far crescere un albero nel loro giardino (di fatto, il sottobosco è un vivaio) o più semplicemente per fare una passeggiata lungo i sentieri che lo percorrono.
A tutela di questo angolo di verde è intervenuto, inoltre, un provvedimento della regione Veneto che ne ha fatto un fondo sottratto all’attività venatoria, un rifugio per la fauna (ci sono scoiattoli europei, ricci, lepri, fagiani, il picchio rosso, quello verde, per nominare i primi animali che mi vengono in mente e che vedo con più frequenza).
Ovvio, quindi, che sia una zona assolutamente interdetta alla caccia.
Eppure non c’è volta in cui, trovandomi a lavorare o camminare tranquillamente nel mio bosco, non incontri un cacciatore!
L’altro ieri, poi, sembrava di essere in una zona di guerra!
Come è naturale, tutti i cacciatori che ho sorpreso erano con fucile in mano e cane sciolto.
Fossero stati con fucile in spalla e cane al guinzaglio, nulla avrei potuto dire, se non che disapprovo la loro attività (che, peraltro, non saprei definire. Forse attività “sportiva”, come pure si dice? Ma si ammazzano gli animali per “sport”?...).
Ma solo pochi virtuosi hanno il buon gusto di attraversare il mio bosco con l’arma in spalla… e quanto ai cani, la possibilità che li tengano a guinzaglio rasenta l’impossibilità ontologica!
Ora, che sia contrario alla caccia l’ho già detto, in passato, e in termini chiari; come in maniera chiara, ho elencato i motivi per cui sono contrario (alcuni a tutti molto noti, altri meno: ad esempio, l’inquinamento da piombo).
A tutt’oggi è una pratica che non capisco; anzi, la capisco sempre meno.
E illogico, paradossale mi sembra il comportamento di quei cacciatori che prima sono rapiti dai paesaggi e dalle atmosfere che incontrano quando vanno a caccia, perché è impossibile non esserlo, e poi sparano; che è un po’ come rimanere a bocca aperta per lo stupore davanti ad un bellissimo quadro e il momento dopo prendere le forbici e farlo a pezzi.
Mi viene, poi, molta rabbia se penso all’impegno di creare una riserva naturale (e guardate che non è affatto facile! Ve ne parlo per esperienza diretta e, quindi, con perfetta cognizione di causa) e vedere la meraviglia che si è creata deturpata e resa insicura per chi la voglia vivere serenamente, nonché per me stesso.
Allora, i cacciatori quando cacciano fanno qualcosa che non mi vede assolutamente d’accordo, ma che, per ora, non è vietato; anzi è proprio la legge a regolamentare questa attività.
Ciò detto, il minimo che si possa pretendere da loro è, innanzitutto l’uso del buon senso, visto che si deve ammettere che si tratta di un’attività pericolosa, e perciò il rispetto delle persone, della loro vita e integrità fisica.
In secondo luogo, si deve pretendere il rispetto delle regole, delle leggi sulla caccia, cosa che passa attraverso la cultura del rispetto delle regole.
Perciò la sfida che lancio ai cacciatori, se proprio non possono smettere di cacciare, è quella di sapersi attenere alle regole. Non solo: è anche quella di impegnarsi perché tutti i loro colleghi le rispettino.
Poi non si può né negare né tacere che si tratta di una sfida particolarmente difficile visto che il nostro è un Paese in cui ci vogliono far dimenticare che pure la cultura del rispetto delle regole è un valore.
Cogliendo lo spunto per una riflessione più ampia, pensate ai condoni fiscali di cui già abbiamo parlato, all’indulto, al recente scudo fiscale, tutti “provvedimenti premiali”, come vengono definiti tecnicamente… ma premiali di cosa? Della miglior criminalità: questa è la risposta. Una volta i criminali andavano in galera; ora li si ricompensa lautamente.
Non ci si può nascondere alla constatazione che è in moto un circolo vizioso, da anni, per cui cresce la persuasione che delinquere, o comunque non rispettare le regole, paga.
La dissuasione dal tenere un comportamento vietato sta passando dal mondo reale al mondo degli ideali.
E l’idealista la manterrà sempre come valore morale, anche se non dovesse esistere più come regola (non venga mai quel giorno!); lo stesso idealista che in un mondo che non è affatto, e neanche prova ad esserlo, il migliore dei mondi possibili, finisce per fare, spesso e volentieri, la figura del povero allocco.
Ma se, come dicono, il mondo è dei furbi, il progresso, quello vero, lo hanno sempre portato gli idealisti, che non sono degli illusi o degli storicisti, ma persone con una grande riserva di buona volontà.
Io partecipo
Alessandro Marchetti
P.s. Vi invito a leggere anche questo articolo della cantante Mina e a riflettere.
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